I bresciani raccontano la guerra… a cura dei fotografi Silvia Quadrini e Jody Parisi (LABA)
presso la sede del “Giornale di Brescia” (gennaio-maggio 2018).
Gli occhi – si legge nel famoso romanzo Jane Eyre di Charlotte Brönte – sono lo specchio dell’anima. Nello sguardo di chi ci si pone di fronte, anche se non è direttamente rivolto verso l’obiettivo, è possibile individuare e arricchire di nuove profondità la narrazione condotta dal nostro interlocutore. Ciascuno di noi possiede una sorta di camera oscura dove si custodiscono le immagini più care del proprio passato. Anche se un po’ sbiadite queste fotografie fissano i nostri ricordi.
Proprio facendo tesoro di questo ammaestramento ci siamo mossi nel corso delle cinque giornate dei Collection Days organizzate presso la sede del Giornale di Brescia per la raccolta di reperti della seconda guerra mondiale, durante le quali siamo venuti a contatto con le testimonianze più differenti, sia orali che materiali (fotografie in bianco e nero, lettere, frammenti di bombe esplose, proiettili, ecc.).
Col mezzo magico della fotografia abbiamo cercato di dare un contributo originale, tentando di raccontare l’irraccontabile, di scattare fotografie che mostrassero l’infotografabile.
Il mezzo fotografico si è rivelato infatti un ottimo strumento per riconsegnarci ricordi, emozioni, suggestioni, dolori, lutti stampati ancor oggi – a distanza di più di mezzo secolo – sui volti dei nostri testimoni. Abbiamo provato a fissare nella fotografia quanto è stato gelosamente conservato da questi ragazzi dell’epoca coinvolti in una tragedia più grande di loro: oggetti custoditi in scatole da loro stessi costruite con amore, ritratti di famigliari o di congiunti partiti per la guerra e spesso non più tornati. Ci siamo premurati poi di realizzare un ritratto di ogni intervistato: un gesto di riconoscenza e una prova della nostra ammirazione per chi ha avuto cura di conservare testimonianze uniche, capaci di raccontare un passato tanto sofferto quanto lacerante per le distruzioni e i lutti subiti.
Non sono mancate le difficoltà. C’era da trattenere le emozioni che sopravvenivano davanti a racconti tanto dolorosi. Al contempo, non potevamo tradire il nostro lavoro che consiste nel mettere a profitto tutte le competenze tecniche professionali acquisite durante il nostro percorso di studio alla LABA.
È stato un lavoro difficile ma appassionato e insieme un’esperienza unica per dei giovani, come noi, nati, cresciuti, sicuri – speriamo – di vivere un’epoca di pace che non conosce ed ha bandito l’orrore e la disumanità della guerra.
Gli occhi – si legge nel famoso romanzo Jane Eyre di Charlotte Brönte – sono lo specchio dell’anima. Nello sguardo di chi ci si pone di fronte, anche se non è direttamente rivolto verso l’obiettivo, è possibile individuare e arricchire di nuove profondità la narrazione condotta dal nostro interlocutore. Ciascuno di noi possiede una sorta di camera oscura dove si custodiscono le immagini più care del proprio passato. Anche se un po’ sbiadite queste fotografie fissano i nostri ricordi.
Proprio facendo tesoro di questo ammaestramento ci siamo mossi nel corso delle cinque giornate dei Collection Days organizzate presso la sede del Giornale di Brescia per la raccolta di reperti della seconda guerra mondiale, durante le quali siamo venuti a contatto con le testimonianze più differenti, sia orali che materiali (fotografie in bianco e nero, lettere, frammenti di bombe esplose, proiettili, ecc.).
Col mezzo magico della fotografia abbiamo cercato di dare un contributo originale, tentando di raccontare l’irraccontabile, di scattare fotografie che mostrassero l’infotografabile.
Il mezzo fotografico si è rivelato infatti un ottimo strumento per riconsegnarci ricordi, emozioni, suggestioni, dolori, lutti stampati ancor oggi – a distanza di più di mezzo secolo – sui volti dei nostri testimoni. Abbiamo provato a fissare nella fotografia quanto è stato gelosamente conservato da questi ragazzi dell’epoca coinvolti in una tragedia più grande di loro: oggetti custoditi in scatole da loro stessi costruite con amore, ritratti di famigliari o di congiunti partiti per la guerra e spesso non più tornati. Ci siamo premurati poi di realizzare un ritratto di ogni intervistato: un gesto di riconoscenza e una prova della nostra ammirazione per chi ha avuto cura di conservare testimonianze uniche, capaci di raccontare un passato tanto sofferto quanto lacerante per le distruzioni e i lutti subiti.
Non sono mancate le difficoltà. C’era da trattenere le emozioni che sopravvenivano davanti a racconti tanto dolorosi. Al contempo, non potevamo tradire il nostro lavoro che consiste nel mettere a profitto tutte le competenze tecniche professionali acquisite durante il nostro percorso di studio alla LABA.
È stato un lavoro difficile ma appassionato e insieme un’esperienza unica per dei giovani, come noi, nati, cresciuti, sicuri – speriamo – di vivere un’epoca di pace che non conosce ed ha bandito l’orrore e la disumanità della guerra.